giovedì 20 luglio 2017

Impressioni a Venezia - dal terzo canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Il tempo è come le gondole
per le vie della città
che il sol nome è poesia; ecco
le ninfe che sorgon dall’acqua
e vedo un drago, principe degli elementi,
che soffia. La natura del pensiero specchia le onde.
Le gondole fluttuano sulle idee
e chi si inabissò pel fondo
trovò il tempo: da interminabili
distanze il passato è un presente.

In un luogo sperduto uomini videro
che il suono delle parole
produceva altro che soltanto il significato:
nacque la musica. L’aura veneziana
il riflesso delle acque sfiora
come la fanciulla che in un palazzo roseo
pizzica un violino addormentato.

Su mille pagine del cielo
radunansi parole nuove. Strato
su strato occupa il passato,
sprofondasi nella neve a Kefu
qual epoche. Il biancore
su’ palazzi veneziani, accolti dall’azzurro. Di sotto,
antiche fondamenta, limbo dell’inferno:
sorreggono un mondo incantato
e ne minacciano, tuttavia, la vita.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©

lunedì 17 luglio 2017

Ode alla veste - dal quarto canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Ordito d'amore, leggiadro deserto,
cremisi stivali accesi viventi
che ti sfiorano,
fortunata,
eccelsa Veste, dorata finissima
come le sue sovracciglia nere, concedimi
del sacro segreto l'emanazione; innanzi
ai suoi occhi come un infante ‘l sole piange:
dopo la morte degli Dei
Lei sola vive.

Beffeggio al declino; libera, mira
i liberi petali e in una morte de la natura
fragili per un poter sotteraneo, dissonanti
a Dei, che questi necessari li rese la ragione,
non difetta la lor possanza;
tuttavia invoca, come il sogno
un ricordo, il pensiero un mondo,
il sonno un tempo,
la necessità de la sua bellezza
la Dea libertà.

I pensieri, gelidi cadaveri,
non han valore, è lo sguardo
a donargli l’aurora; e quando
declina l'arditezza vana
di conchiudere il vero, altro
più elevato, una dorata veste,
mostrasi al tramonto del pensiero;
ben conosci e senti di essere oltre ‘l mondo,
compiacente d'esser l'eletta al creato tutto.

Dorata Veste, da lei inscindibile
come 'l sole e lo splendere,
come Narciso e la fonte,
simboleggi, col tuo velare
e svelare, l'arditezza dell'alta fantasia;
immaginazione che copre,
come un velo splendido tessuto
prima dei tempi, la verità ultima,
il cui sangue è 'l sogno,
ed il suo nome: Bellezza.

Sacra Veste, che la sostieni, dal globo
allontanala; concedi che conosca
io per quale ragione le ere cadano,
e cadano i pensieri loro l'un all'altro
fra l'odio come forze primordiali,
cadano i nostri nomi, ma la bellezza,
l'unico pensiero prettamente abissale,
rimanga accerchiato fra labbra
dal sangue sigillato, imperituro,
nel suo sorriso.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©

venerdì 14 luglio 2017

Père-Lachaise - dal terzo canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Nella notte eterna del cimitero di Père-Lachaise passeggio; dei sampietrini senza nome ho compassione. Quando il rancore muove a vita i fantasmi, da sotto i caldi avelli sento l’inutil peso che l’uomo diede al senso, l’imbellettare e ‘l potenziare una semplice categoria del pensare; un semplice concetto distillato fin le viscere, nel delirio dell’uman cosmo antropomorfizzare. Di fronte alla sofferenza non ne chiedo il perché; nella notte eterna del cimitero di Père-Lachaise passeggio, dei sampietrini senza nome ho compassione.

“Vedere un cimitero è indice d’un attaccamento al passato.” La mancanza d’un senso non traduce un non-senso; chi è cieco, l’oscurità non apprende. In questa funerea valle ogni tomba è un’immagine sbiadita dell’Eterno; ogni tomba custodisce come una giovine vergine il proprio candore, la leggiadria dell’acanto di fronte agli eccitati branchi di cinghiali e delle carogne che intorno divoran tutto – anche se stesse, soprattutto se stesse. I tordi scagliati nel cielo tramontano in un col sole, e la notte dona il cadavere di un colombo consumato da’ corvi: gli uccelli, come li uomini, non giurarono fratellanza. Come un vampiro, dinnanzi una soglia, aspetta l’invito, così, con la medesima solennità, salgo sul gradino che mi conduce più prossimo al regno dei morti; saluto i sentieri degli uomini co’ i loro sampietrini anonimi (lascio l’umanità appesa al delirio), ed entro nelle gemme della terra, negl’inferi bui; è questa un’altra via per la valle sanza alcun volo d’augello, ove dormono gli spirti che sorvegliano i metalli.

Una cripta è aperta. Il sepolto, che fu moralista, che per affetto scrisse quelle cose, trova la propria lapide qui: un ragazzo che seminava gioia. Gli angeli scolpiti osservano e par di vedere, dietro quel riso diabolico, un rancore; sepolto è qui un amore mai giunto alla compiutezza d’un bacio.

Non v’è nell’esistente nulla di più alto d’una promessa; tutto l’altro cadrà, come le piume dall’orgoglio dell’aquila; come dalle lapidi le scritte. La fedeltà non si misura. Aspetto che colui che sogna in questo avello appaia, flebile come ‘l fuoco d’una candela, e rinunci al proprio uffizio. Possa la pietra disciogliersi a causa del calore che emanerà ‘l sole – un futuro per il cosmo non troppo lontano. Se la vita è un imprevisto della materia, ove per caso nacque, per fato nacque la complessità in un picciol globo, per caso nacque la coscienza, ciò non toglie che come il corpo custodisce i pensieri che ‘l fato gli ha affidato, così tale cripta custodiva la malinconia per un amore mai provato; perduto nei ricordi che non sono altro che lapidi più immobili delle iscrizioni che pullulano a Père-Lachaise.



di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©

lunedì 10 luglio 2017

Il vestito giallo - dal quarto canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Ti bacio mentre delicatamente
premo sulla tua guancia
come se dovessi proteggerla
dalla gravità, dall’oblio.

Le tue pupille sigillate da tristezza
forse mi guardano mentre
ti avvicino alle mie labbra,
tale gioia è del colore del vestito
della sera che per prima
mi sfiorasti la mano.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©

giovedì 6 luglio 2017

La penna che cadde - dal quarto canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Dall'oscura sotterra il fabbro ai demoni
si diletta col parlare, del ferro
sciamano, degli inferi araldo, al collo
tien gli spirti e i gravi diletti apprende.

Il sapere sul singolo è ignoranza,
l’universale è un perire, non altro,
sciocca la volontà di conoscenza,
memora: ciò che apprendiamo cadrà,
tutto dileguasi, rimane solo
tal sensazione certa di tristizia;
ché la coscienza non riceve l’essere,
ma il tramonto delle cose, rifletti;
fugge, fugge l’ora che ci persuase
che eravamo vivi; orrido l’abisso
spalanca le fauci dacché cadremo.

La gravità è presente sicché cadde
la penna regalatami; tal lieve
evento serberà l’idea del giorno
come il tappo scalfito il dolce viso.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©