domenica 1 novembre 2015

L’ombra di Archia - dal terzo canto dell'"Art Nouveau"; di Giancarlo Petrella

Oh Cino da Pistòia, padre eletto,
tu ‘l sai del verso il metro, poiché regole
hai nel dolce suon, che nell’intelletto;
tale spontaneità rendesti di egloghe,
non conteggiar meccanico prescelto.[1]
Pur l’oblio a sé richiama qual idëa
degl’infernali fiumi un fosco suono,
come l’archetto rapido un tremore,
come sovviene l’oblio col ricordo.
Un’ombra appare, romano vestita,
pur non par quel Catone che persuasemi
ad adornare i canti col pudore,[2]
tessuti d’oro, con densi colori;
l’ombra è un poeta, perché al cuor doppiamente
astringe la lira; e un poco guardandomi,
sentendo l’alternarsi dei concetta,
spira queste parole quale soffio
flebile mattutino nel frastuono
gelido della notte obliata ai lumi.
« A che la diffusione dei miei versi?
Fra l’università diffusi, fissi
nell’intelletto dei dotti, che giova?
A che se il popol tutto, come ognuno
ben sa il proprio dolore, conoscesse
i versi miei? Frattanto soffia ‘l vento
e linee forma a la riviera e il mare
non se ne avvede. La colonna Aurelia,
pur fra le parti che mai nuovo sguardo
vedranno, ha perfezione; così come
gl’immani volti nei mostruosi templi
alcun viandante li coglie qual uno:
il reale non si vede se virtude
prescelte non vi sono nel mirare. »
« Saggezza rechi col parlar cortese,
chi sei tu? » « Non t'importi chi sia stato,[3]
cose non leggerai mie,[4] le ha la polvere;
l’orator,[5] che tu leggi con pio senno,
a me difese, e ciò basta a saper
ch’io sia; tornando al dire: molti poeti
che furono illustri uomini la polvere
li agghiaccia nella terra e negli archivi;
se i posteri che muta mi hanno in cura?
E si leggeranno forse negli ultimi
istanti i miei versi? Ne avrò qual gaudio;
leggere l’uom deve per eternarsi;
e se l’uom più non fosse e il suo linguaggio
lo apprendesse altra specie e fossi io eletto
nella corte dei pöeti qual unico
esempio che giova? Ne avrò qual gaudio?
Certo la vita cesserà del sole,
similemente la nostra; e la gloria
non di un secondo procrastinerà
il termine: i Romani un mondo vasto
ebber, pur molti popoli e diversi
non seppero dei Cesari e del Foro.
Allora un peso presemi e il terreno,
sospirando, ed il ciel mirai; più ruderi
che stelle vidi, ero presso quel colle
ove i fasti di Roma ben si mirano,
e volgendo lo sguardo al Poeta, dissi:
« Ora che siam in questa landa vedo
colonne desolate: non è data
al possibile questa solitudine.
Intorno sassi sparsi qual rimpianti;
un flebil raggio, pallido, le mura
ricorda e tenta d’essere, non può,
perché l’oscurità ha ivi sede. Buia
è questa vita, l’esistenza un frùscio
d’incertezze, non v’è nessun mistero,
né turbamenti, se non essa stessa. »
Mi interruppe, e ridendo a me cortese:
« nessun perché si scema nel pensiero,
l’uman riflettere si incristallìnea
nel vago essere. Ruderi di un mondo
che fu son le rovine; rovinose
quale pensier che tutto vuol avvolgere.
Il passato è un vedere certe cose,
che più non sono, spenta fiamma; oscuro
è il nascer del futuro; questi reale
non è, né può il presente, che vuol l’essere. »
Quand’ebbe degnamente terminato
il discorso, compresi il nulla, il frivolo
dell’ardore dell’essere, e qual suono
chiama un ricordo, apparve nuovamente
quel Catone che mai di onore è sazio,
con una clamide rossa vestito
nella sua potestà, un poco guardando,
mi indicò le rovine a noi d’intorno.
Erba morta, di muschio odor e fango
antico vedo d’intorno posarsi;
né margherita, né dolce melòde
allieta il vento; mentre fra le pietre
scende ‘l pensere a’ cadaveri muti,
per le pietre l’immago di Persèfone
sorge, votivi canti reclamando,
e ovunque spazia, libero, l’oblïo.

[1]Ossia che non segue regole metriche rigide. Ndc
[2]Catone è una delle quattro guide e rende i canti più pudici, v. il Canto II. Ndc
[3]Il verbo così coniugato da subito l’idea che chi parla è un defunto. Ndc
[4]Nulla ci è pervenuto del poeta Archia. Ndc
[5]Cicerone, che scrisse per l’appunto il Pro Archia poeta. Ndc


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

Composi i primi versi in omaggio a un grande poeta, grandissimo; eccelso nella spontaneità, limpido nei pensieri, attento al decoro. Per evocare il sogno del leggere i suoi versi, ho posto, nell’incipit della composizione, rime che si scemano, sicché l’ultima parola rimata contiene – idealmente – in sé le altre; essa non consiste più in una semplice rima, ma in un suo ricordo. Riguardo alla metrica, sigillo dicendo:
Ciò che leggete è forgiato dal classico
secondo il metro bacio di Melpomene.

L’Autore

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©