mercoledì 31 maggio 2017

Illusione di un tramonto - analisi metrica di Mario Famularo

Per quanto riguarda l’analisi metrica del componimento Illusioni di un Tramonto di Giancarlo Petrella, partiamo dalla prima strofa: 1° 5° 10°
3° 7° 10°
1° 5° 10°
1° 4° 6° 10°
1° 4° 6° 10°
1° 3° 6° 8° 10°
3° 5° 10°
2° 4° 6° 8° 10°
L'endecasillabo canonico l’Autore lo mantiene su otto versi quattro volte; negli altri compie delle progressioni accentuative: nel penultimo verso si sposta prima l'accento dalla 6° sillaba alla 5° mantenendo fisso quello della 3° — poi nell'ultimo alterna dalle 3° e 5° alle 2°, 4° e 6° il che crea un interessante ritmo ondulatorio. Se si nota il passaggio dal terzo al quarto verso si constata l’alternarsi dell'accento di 5° a quelli di 4° e 6°, ciò crea una progressione che dà un ritmo ondulatorio, come quello dell'esametro latino, ma si può benissimo andare oltre, e considerarlo come una visione più moderna della metrica. Il discorso che l’Autore sostiene nella Prefazione riguardante i quaternari può essere così svolto: il verso 3° 7° 10° possiamo leggerlo come "a un violì 3° no || le virgì 3° ne || e dormie 3° nti" tre quaternari di fila, o se si preferisce, un trimetro di tre peoni terzi; se poniamo a leggerli con i piedi è tutto legittimo e inoltre, il fatto che l’Autore alterni endecasillabi canonici ad endecasillabi non canonici, crea modulazioni. Va precisato che non si tratta di un'operazione inconsapevole, come potrebbe essere stato per i duecenteschi e i trecenteschi (questa è la differenza essenziale da un punto di vista metrico con loro): l’Autore conosce il canone e se ne discosta consapevolmente e parzialmente.
Analizziamo gli accenti della seconda strofa:
1° 5° 8° 10°
4° 7° 10°
1° 5° 7° 10°
2° 4° 8° 10°
4° 7° 10°
3° 6° 10°
4° 7° 10°
5° 8° 10°
quanto detto è confermato; ovvero sono evidenti le alternanze accentuative, le progressioni (vedasi come si modulano le posizioni, ad esempio: 5-4-5-4-4-3-4-5, o 8-7-7-8-7-6-7-8).
Quindi non si può concepire il tutto come “operazione strampalata”, pericolo che l’Autore ha evocato, ma come un modo per impiegare l'endecasillabo canonico con particolare modulazioni del ritmo, come avviene per analogia nell'esametro latino.

Proprietà letteraria riservata©

Prefazione dell'Autore all'Art Nouveau

Leggere un libro tanto per leggerlo, per trascorrere del tempo, se a ciò si riduce la vostra intenzione, ad altro dedicatevi. Non si legge per evadere dal reale, per consolazione, per distrazione, per curiosità, viepiù per un’esigenza di pulizia, d’ordine, di rispetto, di riconoscenza, d’affetto, d’invidia. Si legge per le medesime ragioni per le quali una volta si cercava di preservare qualcosa al di sopra della vita: l’onore.
Sentire la rima come qualcosa di imbarazzante, laddove si riveli elemento portante, e di errato, con l’esclusione di pochi versificatori, sentirla come superficiale, che svergogna il senso fonetico stesso del verso (rima che alletta l’orecchio imbelle dei più, che preferiscono «melodie canticchiabili», magari «fischiettabili», al severo contrappunto o ad armonie complesse) questa sensazione di perplessità di fronte la rima, significa l’esigenza di un verso nuovo; che fu antico, dacché antecedente a Dante. Ovvero: non monotonia e agile cantabilità, ma bellezza di canto.
Voler distanziarsi, sentirne la necessità (qui volontà e necessità coincidono) significa danzare fra due baratri: da un lato v’è l’immediatezza, che rimanda alla gravità, dall’altro l’artificiosità. I più sentenzieranno narcisismo; narcisismo il rifiutarsi di cedere all’immediatezza e che, a lor dire, denuncia la credenza d’essere diversi: siamo tutti uguali, grida l’uomo della strada, pronto a crearsi idoli al di sopra di lui, dacché ne ha pur bisogno.
Vano è far comprendere (comprensione intellettiva non v’è), ch’un sentimento aristocratico si autogiustifica. Presso gli antichi le idee, talune idee in particolar modo, si autogiustificavano; gli uomini erano degli opachi riflessi. «L'État, c'est Moi»: non sussiste necessità d’alcuna dottrina politica: a che servono i pensieri? le catene dei ragionamenti? l’eziologia e la gnoseologia? non basta il mio sentire? il mio vedere? l’immediatezza del mio essere per giustificare le mie speranze?
Ho sì posto delle note, ma non sono esplicative, neppur indicative; semplicemente vanno lette - per la maggior parte - come degli omaggi. Eliminare non tanto il superfluo, quanto non farsi sfiorare.
Ciò che è ho voluto offrire al diadema delle muse (the case presents adjunct to the Muses' diadem), col primo volume, di una prima parte di un Poema[1], è un nuovo modo di sentire il verso, in cui le questioni fonetiche sono più importanti degli schemi fissi degli accenti metrici: per il lettore curioso, il quinto canto spiega da sé le mie intenzioni. Per depotenziare l’endecasillabo canonico a maiore e a minore, ho preferito accenti sulla quinta e, qualora persino sulla terza, in tal caso ho posto dei quaternari: nella letteratura italiana appaiono di rado, li ho trovati semmai rapidi. Sono conscio che un’operazione del genere, per chiunque si sia mai confrontato con questioni metriche, sia inusitata, strana, “strampalata”; ma il mio gusto estetico, già giustificherebbe da sé la scelta, di poi v’è la certezza che prima delle forme espresse dal Petrarca, rimatori sparsi per l’Italia, hanno sentito l’esigenza primitiva di un suono, a voi, diverso.
Logicamente l’opera inizia con un’accordatura:

[1]Di un poema si tratta, non di singole poesie sparse.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

domenica 28 maggio 2017

Santo Stefano a Bologna - dal terzo canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Era l’eternità e il Creatore mossesi;
l’universo in un punto vide e disse:
qui fia un tempio a Me eterno; così orando
nel sogno sussurrò a Liutprando, nulla
questi mutò. D’intorno fioca luce
come in un sogno e un silenzio pervade
che riconforta l’anima dal mondo.

Mi prendesti la mano e comprendemmo
la Gloria; e quando verrà delle rose
il tempo, non avere paura, guarda:
l’universo non ha in cura né noi,
né sé medesimo; non pianger ora
se questo Nulla ci accompagna e sfiora,
ché per quel poco che conta, ci amammo
come nessuno saprà far mai più.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©

martedì 23 maggio 2017

Improvviso - dal sesto canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Con qual diritto si è felici? Ovunque
spaziano liberi dolore e morte.
Eppur il verde col rosa si mesce:
tanto odiato l’oblio di tregua un attimo
reca, degli enti tralasciando il termine.

Nessun colpevole d’essere al mondo,
pur infelicità rechiamo senza
saper d’essere.

Nel sogno apparve a Tartini un demonio
sospirando suon più bello del cielo,
dacché i folletti pur sentono il verso,
forse lo stesso demone vesevo;
fiamme infernali avvolsero la misera
terra che dal profondo ventre emersero;
urla, silenzi orrendi e polve ovunque.

Le ricchezze terrene date in dono
placarono il Divino, per l’atto umile,
il suono sigillando; terrore, estasi
così continua ad essere felice.
Quali fuggevoli acque da una mano,
che vaso mal gradito si rivela,
fugge così il pensere e con ei il tempo
e quel barlume che parve infinito.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©