venerdì 14 aprile 2017

Testamento - dal secondo canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Deh, ti prego, Illusione, torna a letto,
il sole non svelare;
al di là delle viole tende, taci
che non fu reale il sogno;
ché del reale noi non ne abbiam bisogno.
Venga quel grande che di amore e limpidi
costumi i canti adornava e la pace
bramava più del sole.

Le colpe e l’innocenza
ugualmente diffuse;
ognuno custodisce
quel barlume di tenebra
che i natali ci diedero.
Nessun colpevole d’essere al mondo;
quando non più gli istanti aduleranno
l’Essere, quando il Nulla avrà ripreso
l’antichissimo scanno,
tutti i versi del mondo non daranno
un senso alcuno al Tutto; ci desidera
la morte, bramaci più della vita.
Per questo il Poeta, ai sogni dando ascolto,
cantò che, in questa valle di non sensi,
soltanto sogni esistono:
quando all’oscurità del sole torno,
allora la tristezza mi pervade
bramando un sogno senza alcuna fine.

Cos’è questo dolore immenso? Grave
peso che schianta più di un tradimento;
è la corte dei morti
che ci chiama: alla forza
di gravità pur non sfugge la luce
e il tempo se in un buco nero siede,
perciò temere non devi, tralascia
le sciocchezze dell’oggi, de la vita
quotidiana che strazia
più di una infranta fede
non devi interessarti,
ognuno è per la sua fantasia Febo:
creatore. Cos’è il reale
se non un’idea? Volgiti:
guarda negli occhi, trovi tu il mio sguardo
simile a cose? Il reale proprio in quanto
reale non è il vero. Gli occhi non sono
semplici oggetti. Apollo
vaga nella foresta e pace agogna
per l’esser solo; e nella notte estinguesi.

Cos’è questo dolore immenso? Il nulla
che chiama in ogni via come un rancore
e si riflette; non guardarti mai
quando senti dei cani l’ululare
nello specchio, quel pozzo
potrebbe imprigionarti,
quel barlume di notte che trattieni
nei soffi. La coscienza è l’osservare
solo i nostri tormenti,
in ciò siede la sua maledizione,
e anticipa la morte.
Nessun colpevole d’essere al mondo,
ma nel venire al mondo
rechiamo infelicità e per lei siamo;
anche l’indifferenza è sol tristizia.
Quando non più gli istanti aduleranno
l’Essere, quando il Nulla avrà ripreso
l’antichissimo scanno, la coscienza
non sarà più, e giaceremo nel vento.

Che ovunque noi non siamo
nessun piange, sicché perché se al tempo
per poco nati siamo disperati?
Pur se mai spazio e tempo giaceranno
insieme come i nostri soffi giovani,
torna al letto Illusione,
che ‘l sole sventra la volta celeste
e i raggi si fan strada.
Dell’amore si deve
veder l’egöismo che quel che si ama
lo si estolle sopra ogni tutto, l’altro
perde il proprio piumaggio.

Ricordati le volte che il capello
lungo ti cade dal dolce tuo petto
sulla gamba e lo levo
così sfiorandoti; un bacio è il mio premio.
Torniamo al nostro letto,
la realtà lasciala a chi crede in essa,
la nostra fede siano sol gli sguardi
poiché ponendo il mio sguardo nel tuo
ritorna a me più puro.
Le nostre tombe, polvere su infrante
promesse, giaceranno accanto; intorno
petali e primavera;
si impiegherebbe men tempo a conoscere
li uomini che ogni singolo
fior. Verrà de le rose il tempo, memora.

Esperire la morte
è impossibile al corpo:
perpetuarsi è il valore;
pur percepisce l’idea de la morte.
Anticipiamo nel pensar la fine,
perché la corte dei morti ci chiama
come un vizio continuo;
d’intorno fioca luce
come in un sogno e un silenzio pervade
che riconforta l’anima dal mondo.
Torna al letto: la morte già ci vinse
quando il sole tornò.

di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©

Addio - dal sesto canto del "Cortese Memorie di un Sogno" di Giancarlo Petrella

Egoismo è l’amore che quel che si ama
sovra il tutto lo si estolle; ti vidi
e pensai come fossi un mondo, dama
dei sogni… ciò ancora è perché tu ridi.

Questo corvo, che è il tempo, a te di fronte
siede su un ramo e lo accarezzi, pronte
le ali e le mani e i vostri cuori avvezzi;
non più a me riderai: tu mi disprezzi.

Non v’è dolore senza un io; il vampiro
passeggiava, lo insultava la neve,
si percepiva escluso ed uno spiro
gli ricordò la morte e il corpo lieve.

Disceso l’uom più non comprese Dio,
scese così il vampiro nelle oscure
tenebre: il suo cuor gelido e quel io
che un tempo amò, ora gli reca torture.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Cortese Memorie di un Sogno"
Proprietà letteraria riservata©