lunedì 13 giugno 2016

Epigrafe - dal terzo canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

Si smorza la memoria come un sogno
diluito ai raggi del sole, infinita
appar di per sé ogni immago; pur sono
familiari i mastini infernali
quando la rude vecchiàia rimiro.

E dunque che sono? che sono queste
tombe? se non il segno del latrare
dell’Ade continuo, che orrido chiama
chi nella vita tanto confidò.
Si smorza il sole e le stelle si inoltrano
nell’indifferenza dell’esser; pare
la lapide alla luna più serena,
gli infernali cani smembrano le ultime
illusioni, e invecchiano pur le tombe.

Come quando l'uomo dal mondo l'eco
del pensiero riceve, così il primo
inverno che ti consegnasti, Èrika,
fu nuvoloso. Come queste tombe
corteggiate da sogni infranti e il vento
piano pian logora anche il marmo, anch’egli
cadrà nell’oblio: sbiadita epigrafe.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

domenica 12 giugno 2016

Presso Le Rive del Garda - nono canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

Come si desume dal titolo, la scena si svolge presso il lago di Garda; il poeta, sognando, incontra per prima la donna amata, la quale gli indica delle ombre che circondano la riva e che si rivelano essere degli “spiriti magni”, fra i quali spiccano, prendendo parola, Tacito e Luigi XIV; quest’ultimo, in veste di guida, così come appare nel secondo canto, conclude la prima parte dell’opera. Tutta la scena è caratterizzata da una gentilezza, cortesia e raffinatezza più volte evocata, oltre che da riflessioni che echeggiano le tematiche più squisitamente filosofiche.
Vi narro come un dolce sogno, presso
il Garda, avendo mirato il ciel, colsemi
come goccia che la gravità accoglie,[1]
qual desio che da sé imagini stilli;
e la prima figura ad apparire
fu[2] la danzatrice del mio pensiere,
che con li occhi movendo ógni cosa,
dona la speme a chi la mira d’essere
a sua volta, qual fiore e le api, visto.
Tempo fu di popoli che le stelle
venerarono, ponendo pie immagini
e belle forme, pure, e dei pensieri
la vita in esse; pur se il ciel or vuoto,[3]
deserti campi di lapidi d’astri,
un so che di amorevol nel mirarle
pervade il contrappunto del pensare.
Cerchi pur l’uomo ne li astri le origini,
ma voi, labbra nate per incitare
amore, il tempo, àvido vampiro,
allontanate; ché della mestizia
non lice chieder rinunce o ragioni,
né de la morte ne vogliamo addurre.
Questa odiosa morte è solo un pensiero,
non altro: non si ha d’essa un’esperienza;[4]
pur agita l’animo più del vitreo
essere[5] in cui il dir trascolora[6] in sensi:
le cose non si sfioran, ma il linguaggio,
vitrea immago, che trasparente ovunque
cose flette, guida le sensazioni,
governandole con leggi fonetiche.[7]
Tempo fu di popoli che non vollero
sotto l’aquila strisciare: cercando
libertà nel fuoco, arsero, da’ stemmi,
dalla vita fuggendo; dal credo orrido
fuggiamo che del mondo un regno d’ordine
pone e di ragioni, ai ricordi volgi
i pensieri; poi pur questi tralascia.[8]
Qual verità taciuta il ciel irreale,
come l’aurora cortese saluta
l’agapanto[9] col proprio insegnamento,10]
così si inchina al pensar questo lago;
siedi alla finestra, un pettine appoggi,
un velo si sostiene al tuo chiarore,
chiara come questo lago, montagne
all’orizzonte e per ogni dove onde;
ed ombre[11] d’intorno, con un velato
orgoglio,[12] fra lor solo,[13] come in vita,[14]
ragionano; le indichi e, indicate,
svanisci.[15] Io colsi fiori;[16] or ho ricordi.
Nel sensibile gli oggetti son dati,
non sembran favelle, sol cose pàiono:
morbide, dure, lunghe, larghe e spesse;
pur di tutto sol col dire[17] vediamo
li affetti[18] e la percezione si regola:
dal mondo l’uomo di parole èchi
accoglie. Abbandonati qual ricordo,[19]
memora che un giorno un fior si dischiuse
per lo tuo talento; e la man coglieva
nuove immagini pel votivo canto:
vanto nel reale non v’è, se non quello
che il pensar, e più il dire, ostenta forte.
Il reale (qual menzogna!) come dato,
non come visto, ancor più: anticipato
e nei sogni, pur nell’istante, creato:
l’occhio non altro compie che ‘l mirarsi,
ché un bacio si rivela più che un tocco
un’idea, e più che un’idea una parola,
e più che un verbo un suono che ‘l desïo
accompagna e sorregge nell’immagine:
il dir protegge l’essere dal nulla.
Ogni ora fugge, né l’attimo dura,
sol ricordi rimangono, pur sé
di poco fa;[20] questo[21] è perso, per sempre,
per sempre è perso l’attimo che sfiori;
e la memoria è forgiata più maggio
che dal pensiero, dall’idee e più ancora
dall’immaginazione, velo splendido[22]
tessuto prima che i bagliori fossero.[23]
Acque, regni di liberi pensieri,[24]
un’estate piovosa, ma virtudi
solitarie fluiscono:[25] costituiscono
morte ed eterno l’interiorità.[26]
Come un io cullato da trasparenti
parole,[27] in tal guisa formano le ombre
una corona alle rive del Garda;[28]
con un tono sempre più forte le odo,
dacché mi avvicino garbatamente.[29]
Come quando la lenta luna, e il cielo,
nel lago flettesi e un cigno solingo
naviga, l’immago sfiorendo, sfiora
così il dire l’udire;[30] così l’ïo,
al venir meno del detto, s’interna
in un puro desiderio pel sogno
che rattrista l’intelletto. Se forme
contorna un raggio, appare la parola,[31]
in tal guisa tento di nominare
le ombre varie;[32] e il mirar tal dignitate
al pianto me e i fiori conduce.[33] Sguardo
rorido e perlato: dal seno glauco
di Teti non li disviava il pensiere
ai romani di trovar perle tanto
belle fra le coste della Britannia.[34]
Un’ombra di bianco vestita,[35] a passi
liberi venendo, mi guarda e, ànimo
lieto, proferisce tali parole:
« Pagò duramente Tarpea il tradire,
da ambo[36] tradita e traditrice, figlia
di Spurio Tarpeo,[37] ancor prima Dea antica,[38]
precipitando per le gemme;[39] cade
funestamente nel passato l’ora:[40]
nulla si salva, neppur l’oblio stesso;[41]
ma il pensiero, la parola, l’immagine
s’ergon come barbari che la patria
difendono dalla ratio romana;[42]
e il moto calcolatore, che regni
diversi ammutolì, silenzio trova,
serenissimo silenzio ribelle. »[43]
Io rispondendo: « Ben dici; ma ho un duolo,
come un infante che non conoscendo
le parole le cose non possiede,
così ‘l tuo nome è oscuro e lo desidero. »[44]
Rispondendo con orgoglio, risponde
cortesemente:[45] « Romano son stato;
dei miei scritti dicesti un dì: “nel mondo
latino cose più belle non sono”;
di Calgaco cantài e di Agricola…»
Non appena intendo, e interrompendolo,
gli bacio l’anello, e lui con dolcezza
continua, e asprezza insieme:[46] « Ti conduco
umilmente al Sole »;[47] mi volgo verso
Colui che indicatomi e vedo tutti,
qual nobili e regnante,[48] stargli intorno
dimandando insegnamenti a Lui solo.
Le mie palme, avvicinandosi sempre
più a quelle ombre,[49] sfiorano la salsedine,
ma la mia attenzione ad altro si pone;[50]
mirate che di questi sassi solo
un suon vi rendo,[51] a me primariamente
nulla di solido, di già non sono.[52]
Il corpo pensa, il sole esiste: è tutto
materia, spirito non v’è; pur senza
le parole le forme non vi sono,
nulla compreso, le cose non viste,
l'insignificante scorre nell'essere,
né il Càos[53] sussiste perché una forma;
e la matera non è che un’idëa:
i sembianti neppur da sé son ombre.
Il sentire è un dire, ed ogni parola
un mondo più del mondo real significa.
Sconfinati oceàni di là[54]
dallo sguardo di Calgaco, di popoli
immensa libertà, assenza di terre
sconfinata e di pensieri; si spaziano
le immagini e qual luce dei riflessi
di chiome così agitano spontanei,
qual desii al mattino, i pensieri.[55] Nuoce
a tal delirio la ragione e ‘l sole;
e con la ragione oggi muore il mondo:[56]
se il dire prassi addivien, il suon Mondo
nulla esprime perché il Tutto non è atto;[57]
e fantasma rimane questo termine.[58]
Di anemone intatte l'inverno inflora;[59]
prima del ghigno del bòia,[60] del sempre
la solitudine tradurrà solo
insensatezza,[61] perciò il desiderio
s’interna nell’istante,[62] e il globo al tempo
affidato, dal pensiero avvinghiato,
sconforta gli animi.[63] Terminerà
il mondo, e non è dato di vedere
alle stelle il termine delle cose;[64]
nessun dispera che in un picciol globo,
infinitesimo spazio col corpo
le azioni occupando, ché l’estensione
data sia nulla; mentre se di un attimo
parte siamo, se di colossi d’ere
non disponiamo, disperati siamo:
un peso la vita e il desio angosciante
del suo perpetuarsi forzatamente,
in tutti i modi, nelle ere, bramiamo;[65]
pur se fra nubi di accidia e sospiri[66]
del quotidiano, eletto,[67] si respira.[68]
Pur[69] noi umiltà e divino, abisso,[70] uniamo;
perciò innanzi il sagrato dell’istante
conduci, prima che ‘l Nulla proclami
il suo regno, i nostri baci. Nel mezzo[71]
del Chiemsee[72] sorge una pallida immago,[73]
pur non per tal copia[74] s’agita l’Ombra:[75]
« Fra le mille fontane che concessi,[76]
dopo la Nostra morte, l'empio popolo
di Francia, non già le arti e i modi austeri
obliarono, ma ratti (con l'orrendo
crimine a' Numi: i lor sovrani a morte
posero) il sacro diritto a nomare
Sole un uomo fra gli uomini; fra pallidi
astri, si suol nominar sì 'l più fulgido:
di piombo e di rame il palazzo al Nostro
concepimento,[77] dagli antri del nulla
oscuri, immago eccelsa traemmo fore[78]
come la gravità si finse il tempo.
Gocce di là dal globo ivi, immense isole
nel mar blu arcano,[79] vive il Crisantemo;[80]
non reggitor di popolo,[81] pur simbolo
puro, non le divine man fra bolge
di editti, ma nel proprio lume quietasi,
fra antichissimi nomi di altri Dèi:
se si ha una domanda, si dà un linguaggio,
se si danno uomini, si han differenze. »[82]
Concluse l’Ombra Santa[83] e Venerabile.[84]

[1]Raramente il poeta fornisce dei riferimenti temporali, spaziali e causali, tuttavia questi si rivelano vaghi. Ndc
[2]Uso molto raro dei verbi coniugati al passato, essi marcano ancora di più la vaghezza caratteristica del componimento. Ndc
[3]Avvento del nichilismo astronomico.
[4]Vien tramandata, appresa, non vissuta.
[5]L’esistente che si lascia pur dire e non ha una consistenza duratura.
[6]Diviene, trascolora, perdendo la sua natura.
[7]La parola è primariamente un suono.
[8]Canto V, 3: « […]l’uomo/si interna nei ricordi sparsi cerca/dal soleprotezione; lo delusero». Ndc
[9]Canto VI: «neve dell’agapanto cortese emula». Ndc
[10]Giacomino Pugliese, Morte, perché m'hai fatto si gran guerra, v. 28: «lo vostro insegnamento e dond'è miso»: insegnamento nel significato di perfetto comportamento.
[11]Individui che, in quanto appaiono in un sogno, sono ombre; è possibile intendere ombre anche nel senso di morti, fantasmi. Ndc
[12]Canto II: «co' riserbo, e pur non velato orgoglio». Ndc
[13]V’è comunicazione solo fra persone dello stesso rango.
[14]Pertanto si tratta di morti; si può forse concepire vita nella specificità di sottolineare che tali ombre ragionino come se fossero vivi, non soltanto in un sogno. Ndc
[15]Svanisce la donna che prima è stata descritta, la danzatrice. Ndc
[16]Canto III, 3: «nei sogni fior raccolsi[…]». Ndc
[17]Per mezzo del linguaggio. Ndc
[18]Le qualità. Ndc
[19]Il memorare significa abbandonarsi, non al passato, ma all’immaginazione.
[20]Il linguaggio eternalizza, l’esistente ha come scopo il nulla: l’oscillazione fra queste due percezioni ha costituito questi versi.
[21]L’istante. Ndc
[22]Canto VIII, 2: «che copre, qual velo splendido prima/dei tempi tessuto,la verità». Ndc
[23]Canto II: «prima che ‘l tempo ed i bagliori fossero». Ndc
[24]Il lago di Garda. Ndc
[25]L’estate del 2014 è stata caratterizzata da intemperie e da disagi atmosferici; inoltre l’Autore ha trascorso la maggior parte del tempo a rielaborare e approfondire autori e tematiche a lui cari. Ndc
[26]L’interiorità significa la percezione della morte; significa la percezione che qualcosa di eterno nell’esistente debba pur esserci.
[27]L’elemento della purezza, che si trasmuta nella chiarezza delle parole, è un giovamento per la mente. Ndc
[28]Queste ombre sono posizionate tutte intorno alle rive del Garda. Ndc
[29]La narrazione viene accennata. Ndc
[30]In tutto questo canto vi è un’atmosfera dai modi cortesi, garbati, settecenteschi mista a una bellezza velata e non ostentata tipica del neoclassicismo. Ndc
[31]Il vedere significa un nominare.
[32]Indistinte. Ndc
[33]Questa dignità comporta un’emozione così intensa.
[34]Secondo alcuni i Romani avrebbero iniziato a interessarsi della Britannia per le perle delle sue coste. Ndc
[35]Mi apparve dal nulla come in un sogno.
[36]Sia i Romani, che i Sabini la tradirono e lei fu traditrice di entrambi.
[37]]Custode del Campidoglio al tempo di Romolo.
[38]Per taluni, Tarpea è una divinità antica venerata presso il monte Tarpeo, una delle cime del Campidoglio.
[39]Causa del suo tradimento.
[40]Come Tarpea cadde, così l’ora cade: il tempo scorre. Ndc
[41]Canto VI: «All'oblio tutto cede, ne la notte/traducesi tutto, similemente». Ndc
[42]Tacito, come nell’Agricola, critica il colonialismo romano. Ndc
[43]Delle vestigia romane pur sempre rimangono.
[44]Di nuovo si ripresenta il tema del linguaggio e della sensibilità. Ndc
[45]Tutti i gesti, come i toni, sono di natura cortese. Ndc
[46]Non viene rivelato il suo nome, Tacito, dacché è stato riconosciuto, dunque parla di altro. Ndc [47]Re Luigi XIV.
[48]Come in una corte, il componimento è indirettamente un inno alla monarchia. Ndc
[49]Tutta la scena è finalizzata all’incontro con queste ombre. Ndc
[50]Tralasciando le cose materiali. Ndc
[51]Suon per parola; oppure si sottolinea l’assunto che le parole, prima d’essere un elemento intellettivo, implicano un fatto empirico: il loro suono. Ndc
[52]Sia nel senso che è già trascorso un altro attimo, rispetto a quello inerente l’esperienza che li riguarda; sia che non sono, perché ciò che rimane è la parola che li designa. Quest’ultima interpretazione spiegherebbe i versi successivi. Ndc
[53]Il Caos è prima di tutto una forma d’essere.
[54]Questa sezione del componimento affronta lo sconfinato nel concetto di libertà, nel mondo e nel tempo. Ndc
[55]Tipica unificazione dell’elemento naturale, elegiaco e spirituale; inoltre è presente una grande attenzione per i gesti quasi teatrali. Ndc
[56]Il tema del mondo precede il tema della vastità del tempo che verrà trattato a breve nei versi successivi. Ndc
[57]Se il linguaggio diviene prassi, le sue parole, sono vincolate dall’agire umano, pertanto la parola mondo non possiede denotato alcuno, perché il Tutto non si riduce a una prassi.
[58]Come i fantasmi non hanno corporeità, così questa parola, mondo, non avrebbe significato. Ndc
[59]È uno dei versi che più caratterizza il mio scrivere.
[60]Della fine dei tempi.
[61]L’infinità dell’universo non presenta significato alcuno.
[62]Il desiderio, in risposta all’insensatezza del sempre, s'interna nell’istante. Ndc
[63]Il tempo, il pensiero, le cose sono il nemico dell’anima.
[64]Pur le stelle periscono.
[65]Nessuno si lamenta perché non occupi tutti gli spazi; mentre del tempo concessogli, se ne angoscia continuamente, sempre poco rispetto alle proprie aspettative, alle proprie esigenze. Ma come viene detto nei versi successivi, la maggior parte della vita si trascorre nel quotidiano, che è scelto e nell’accidia: da un’osservazione esistenziale, il piano è passato a osservazione morale. Ndc Sussiste una grande differenza fra la limitatezza spaziale e quella temporale: anche nel finito l'organismo si rivela incapace di adeguarsi, tuttavia gli è più lecito considerarsi finito che mortale: accetta con qualche remora di non essere ovunque, ma gli è impossibile credere al termine del suo essere.
[66]Sospiri lamentosi. Ndc
[67]Ognuno sceglie come invecchiare, se per vecchiaia intendiamo la quotidianità che sfiorisce la vita.
[68]Si sopravvive. Ndc
[69]Pur certamente diverso da quello dei versi precedenti. Ndc
[70]Abisso è il sottotitolo della prima edizione de La Morte del Tempo; qui può sia significare che v’è un abisso fra l’umiltà e il divino oppure che questa unificazione consiste nell’abisso. Ndc
[71]Stacco che conduce all’ultima scena del canto e alla conclusione di questa prima parte dell’opera. Ndc
[72]Grande lago della Baviera. Ndc
[73]Il castello di Herrenchiemsee, costruito da Ludwig II di Baviera a imitazione della reggia di Versailles. Ndc
[74]Imitazione. Ndc
[75]Il poeta, avvicinandosi sempre più garbatamente, è ora al cospetto di Luigi XIV. Ndc
[76]Un Sovrano concede, non dona.
[77]Quando Luigi XIV nacque, Versailles era ben diversa. Ndc
[78]Canto VII: «nasce dalla Notte 'l canto e da sé/splende»; l’attocreativo proviene dal nulla, perché “prima non era” e da se sigiustifica. Ndc
[79]Il Giappone: molte sono le leggende a riguardo dello strettissimo rapporto fra la nascita delle isole che costituiscono questa nazione e l’oceano arcanoNdc
[80]Sua Maestà Imperiale Akihito: il più grande Sovrano della storia evoca l’ultimo imperatore vivente.
[81]L’imperatore non prende parte alla vita politica. Ndc
[82]L’unicità dell’Imperatore rimanda all’unicità, e alle differenze, degli uomini.
[83]I Re di Francia hanno sempre sentito il proprio potere come direttamente disceso dalla Volontà di Dio, già a partire dalla dinastia dei Carolingi.
[84]A differenza di quanto avvenuto con Tacito, Luigi XIV non viene interrotto e parla esclusivamente lui. Ndc


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. L'introduzione e le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

Ode alla Veste di Lei - dall'ottavo canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

D’amor ordito, leggiadro deserto,
cremisi stivali accesi viventi
che ti sfiorano,
fortunata,
eccelsa Veste, dorata,[1] finissima
come le sue sovracciglia, concedimi
del sacro segreto l’emanazione;
ai suoi lumi
piange il sole
qual infante:
dopo la morte del Dio, Lei sol vive.

Beffeggio al declino; libera, mira
i liberi petali e in una morte
de la natura fragili al malvagio
moto; a Dei
dissonanti,
cui dovuti li rese la ragione,
non difetta la lor possanza; invoca,
tuttavia, qual sogno un ricordo, un mondo
il pensiero,
il sonno un tempo, la necessità
della sua beltà, la Dea libertà.

Gelidi cadaveri[2] ∨ i pensieri,[3]
non han valore, è lo sguardo a donargli
l’aurora; e nel mentre oblia l’arditezza,
vana, il vero
di conchiùdere,
altro più elevato, dorata veste,
mostrasi nel tramonto del pensiero;
compiacente,
ben sai e senti,
prediletta
Veste, d’esser l’Eletta al Creato tutto.

Inscindibile,
dorata Veste, da Lei come 'l sole
e la luce, qual Narciso e la fonte,
simboleggi,
col tuo velare e svelar, l’arditezza
dell'alta fantasia; immaginazione
che copre, qual velo splendido prima
dei tempi tessuto, la verità
ultima, il cui sangue è 'l dormire, e il nome
suo: Bellezza.

Sacra Veste,[4]
che la sostieni, dal globo allontanala;
concedimi che io conosca per quale
ragione le ere declinino, e cadano
i pensieri
fra l'odio come forze primordiali,
cadano e si spengano i nostri nomi,
ma la bellezza, l'unico pensiero
prettamente abissale,[5] sia accerchiato
fra le labbra dal sangue sigillato,
imperituro,[6]
nel suo riso.

[1]Prima, cfr. Canto VI, erano le calze ad essere dorate, ora la veste; probabilmente oltre che ad essere un altro abbigliamento, si tratta di un’altra fanciulla. Ndc
[2]Trocheo pirricho | trocheo pirrichio | trocheo.
[3]Canto IV, 2: «Non esistono pensieri profondi/ma è lo sguardo che a noi li rende tali». Ndc
[4]Al termine del componimento, la veste diviene persino sacra. Ndc
[5]Ed essendo unico nella sua specie, di pensiero non si tratta; è qualcosa di non pensabile.
[6]Non poteva non essere questa parola, al di là della concessione dell’ipermetro.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

Giga - dall'ottavo canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

Ah questi occhi
sì fuggevoli
che mi fissano
che mi scrutano
come l’eterno foco l'ombra gelida;[1]
come l'universo il silenzio appaga.
Ah quel naso
così dolce
come nebbia
che spera nel solar declino prossimo.
Queste guance
ove del volto giace l’alchymïa,
e più lento
sfiora l’arpa
d’astri il tempo.
Quella bocca:
lì dissetasi
giovinezza
come ‘l fuoco
nelle labbra
de le tenebre.
L’ora gelida
sarà appena
li occhi al sole[2]
tardo avari;
i miei versi
saranno la tua eternità di tempo.
Come neve,
ch’a la luce
arde, e luce
brama e agogna
e teme e di perpetua infedeltà
maledice
l'oscuro sole, così ïo a la fiamma
tenebrosa[3]
del tempo. Tremulo a tali pensieri
come li astri all’immensa indifferenza
siderale,
ché il Nulla più che me li avvolge.[4] È vero,
dolce amica, confesso, appena li occhi
chiuderemo
l’una all’altro
più ragione
non saremo
di trascorrere
il tempo. E prima della gelida ombra
giuro che questi gelidi pensieri
li terrò segreti. A piccole dosi
nel vago canto distillerò ‘l fragile
prima che ‘l tempo falci le speranze:
ne le speranze tue l’eternità[5]
poserò.

[1]La dicotomia luce-ombra governa il canto. Ndc
[2]Le qualità dell’ombra che prima è stata evocata, quella di essere gelida, viene trasferita nel tempo; viene evocato il contrasto luce-gelo. Ndc
[3]Il tempo consiste in una fiamma di tenebre che ustiona inesorabilmente senza alcun splendore.
[4]Il nulla, letteralmente, circonda l’Universo; il nulla che lusinga di meno la vita degli uomini, che qualcos’altro in più della loro esistenza pensano, sperano, sognano.
[5]Eternità “diversa” da l’eternità di tempo, in quanto quest’ultima consiste in un’emorragia di vita, è la vita che viene meno. Ndc


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

Et in Arcadia ego - sesto canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

nel santuario del sonno,
il canto e la pietra solenne patto istituirono
Leonardo Pisano[1] m’apparve in sogno.

Colui che immagina, al tempo non cede.

Altro non è la spirale che 'l Mondo,
sguardo che se stesso vedendo vede.

Giovinezza è un evento atemporale,
sfugge all’incarnato che ne le rughe
del futuro incerte decade e tace.

Più che ‘l tempo, il sole invecchia; riparo
dato non è dai suoi raggi che l’ombra
di un lenzuolo il cui incarnato l'antica
neve dell’agapanto cortese emula
e custodisce il segreto dei baci.

E con melòdi[2] di dorica cetra
accennati,[3] il vulgo tralascio e fuggo:
ben ascolto e vedo, che fra le pieghe[4]
degl'inni miei, nessun dono più santo
che ‘l piacer d’etternar colei che io canto;
dunque, senz’altri indugi, ne le lande
entriam ove nessun tempo s’aggiunge,
al termine di quelle questi morti.[5]

Come nel verziere dal violeo manto
la lenta Luna – se il ciel siderale
tace – adora il silenzio, sua parola,
sente l’illusione d’intorno e il cembalo
celeste adorna e la valle del mondo
pace trova; dalla stanchezza l’estro
convesso a le note sospira i sogni;
ma se in un punto una favilla effimera
di sole il tempo le rimembra, retro
d’improvviso nell'Assenza si cela;
con tal cortesia i canti si distillano
– simile al bacio su rosee caviglie[6]
nel flebile timpano e in sogni fluiscono.

Eterna per la propria allegria brilla
l'acqua del dolce ruscelletto e lieto;
causa di sé, a sé ragione, in sé metro
d’una impalpabile forma; dissetasi
ivi la beltà di Cinzia[7] che l’ultima
propria emanazione traduce.[8] Lapidi
un cimitero non ha tante quante
rose il suolo ove sono sorvolati,
quasi volavan gli stivali al sasso
ringhianti del pericolo preanuncio,
non conoscono la disperazione,
il declino, in quanto a te consegnati:
la dannazione e l’oblio seminando
ché ti recan lontana;[9] sul dorato
pallido velo un petalo si arena,
è nobile men del tuo bianco piede;
iris discendono violei dagli occhi,
che a questi, quelli, giovinezza insegnano;
corolle d'intorno l'abisso èmulano
del tuo iride: dal viola la parola
all'azzurro in sensazioni frantumasi.

Quando dei giovani fanciulli videro
la Sibilla[10] sola con l'invecchiare
suo senza alcun compimento, si chiesero:
«a che tante canoscenze?», e curiosi
le dimandarono: «tu che comprendi
tutto, in egual modo il sole e le tenebre
e la fine ed il principio degli enti,
che cosa desideri maggiormente?»
e lei, con sospiro lieve: «desidero,
fra tutte le cose, solo il perire»;
non par che una rosea farfalla invecchi,
pur aduna nel molle grembo il greve
peso d'ogni singolo attimo perso:
stirpe penosa ed effimera l'uomo,
piange la tomba, non il puro petalo
de la rosea antica Dea che vien meno;[11]
la dolcezza ad Augìa trova calore
materno come giovinezza a Leda,
ma qual luogo accogliere può tal cembalo
che effluvia un mondo sanza loco dato:
uno scorrere del tempo ne' singoli
ricordi non v'è. Di raso le calze
con venatura dorata flessuose
navigano sul pallore in cui sognano
cupidi molti sdegnosi al pudore;
il tuo nome è celato retro i petali
e l'ombretto intriso di malvarosa
l'odore de la rosea beltà memora,
e 'l pallore lo asseconda; le spalle
alzi leggiadramente qual sbadiglio,
quando il ciglio dolcemente declina,
segno e indizio del termine del reale,
per sempre 'l suo fuggir a un'idea dando,
ch’al desio il pensare è pura menzogna.

Seduta su la porpora ostinata[12]
di un divanetto, seguono le chiome
il metro del peplo; l’ombretto lieve
simile a un violureo petalo; neve
è l’incarnato e il tacito crepuscolo
emula il colorito del tuo viso;
silenziosa in un angolo col tempo
come un oggetto affidato a la polvere,
tu, che conosci più sogni che cose,
mira l’ebano come dolcemente
accoglie il mantello similimente
come questi la gravità traduce;
ed eccoti che accogli questo Libro,
lo sfogli come lirica di un sogno...
lievi le tende qual sbadiglio: torna
al violino e con l’aureo clavicembalo[13]
regno di Pindaro ti mostrerò,
Imperatrice, che non solo eterno
il desio è, ma più maggio che non v’è
eternità senza sogno; odi eterno
Fabbro del canto, guida ‘l nostro vanto.
Non v’è patto[14] se ‘l duolo non si memora:
dopo millenni è forse di Orfeo[15] privo
delle ceneri il petto dell’amata
Ninfa? Ai confini del mondo il cantore
solitario piange perennemente;
discendendo sulla funerea terra
lagrime grevi[16] come l’orizzonte
che morte conosce esclusivamente;
l'Averno volle. Di lei l'ombra vana
istessa indica delusione: i diavoli
ne han pietà, sicché brancolar le è dato
fra i monti lividi orridi degl’inferi.
Narrasi che quando morì la tenne
stretta al petto Orfeo disperato; vennero
i secoli e lei si trasformò in polvere;
le lacrime di lui, che il divenire
fin l’ultimo istante accompagneranno,
la metamorfosi più presta resero.
Zeus padre, che dall’alto delle folgori
mira la desolazione di questo
picciol globo dal pensiero conchiuso,
sentenziò che in esso più alcun mortale
felice sarebbe stato; e gli sguardi
degli uomini si conversero ai sogni.
Nere lacrime hanno i foschi allattato
fiumi infernali: tanto ella fu bella,
e tanto ora il pianto le ha sfigurato
pur il cinereo perduto dell’animo.
In questo luogo, né luce né voce
per la speranza il malefico rombo
dei ringhi infernali accoglie o sopporta.
In questo luogo, sconsolata tomba,
né luce né per la speranza un luogo:
vi sono solo lacrime di adesso.

All'oblio tutto cede, ne la notte
traducesi tutto, similemente
così un ratto cane infernale (forze
intraducibili) volge la mente
carogna ovunque, come tale tutto
declinasi infrenabile presente
flusso; ma 'l mio sogno si è ribellato,
perciò, quando le alte stelle, del proprio
lume pigre, cadranno in un solare
sonno, mai per niuna ragione svegliami:
che li occhi miei non traducano 'l sole.[17]
L'ambrosia dei tuoi sacri crini, assenzio
per li Dei, più vereconda del pianto
d'Orfeo che fuso a la polvere è padre
del primo uomo, van dolcezza dicendo
all'aura e amore; li occhi, belli, splendono,
si ravvivan a sé di proprio lume,
van traducendo un delicato sogno;
ma quando, orribil certezza, ritorna
l'oscurità del sole, che dilania
il nostro sogno, seppellisci li occhi.
Sfigurasi il pensier quando riposi:
nulla di più bel se le ciglia serri;
va posando a sé le braccia la morte
penandosi che pur te sfiorerà:
spirano la ragione del perché,
questi occhi, dolce detto chiuse ‘l viso;
ardo, questa fedeltà, in questo tempio,
emulare, come l’ombra la notte.
L’anemone imiti nel venir meno,[18]
de l’amaranto accenni la passione,[19]
di regalità l’aquilegia èmuli,[20]
de l’acanto illustri il proprio valore;[21]
ridenti margherite tutte intorno,[22]
cede il fiordaliso al molce biancore,
il glicine attende di frequentarti
e il giacinto a quest’altro vi si unisce.
Quasi l'Eterno, occhi lucenti, i nostri
sguardi (per sé è ragione di sé di essere),
poiché per poco hanno sostanza eterna:
la fedeltà, fra loro, riconoscono.
Labbra di fuoco nella notte, il tempo
è così nell'Eterno ardente simile,
fugge da queste labbra la memoria;
non si discioglie la fiamma a le tenebre
in tal maniera l'eternità predica
il tempo e il divenire non si annulla:[23]
la terra è luce al ciel come l'Eterno
nell'universo a forma si autopredica
di vivo bagliore, indicando l’orma.
Pallida solitaria rupe, vigili
leopardi d’intorno, splende e ivi scende
il miele làtice snello; ivi, sacro
lavacro, si cede Mèlis[24] di molce
educata e di soavità. Lei ascolti!
Non il tempo, non il mondo, non altro.
Antico nome l’appella Melitta,
pur ben altro è ‘l suo ver suono, danzante
il clivo che, per l’immago, risale.[25]
Spalanca le vele l’aquila e bieco
sguardo assilla chi, per l’umana specie,
la beltà oblïa; torbida pupilla
giace nel lor fosco pensare. Cacciali!
Caccia gli ostrogoti[26] da questo altare.
Immago e suono, l’uno, l’altro o entrambi,
non altro: “poesia concetta” il sol nome
irrisione. Pound[27] a Venetia, martire
del mondo lascivo – girone anonimo
d’intorno –; essere puro e metafisico
che su le gondole vagava, e i popoli
de la terra univa sotto ‘l dominio
del Verbo; tempi e spazi un’unica epoca
per il talento del fuoco: una sola
estensione, che è ‘l tempo; un solo tempo,
che è ‘l presente. Ascolta i versi non sparsi.
Dal pagan pensiero sorge a spirale
il denso bronzeo, tòrta su se stessa
la colonna, così la veste torta
forma a sé elegge, spirale figura,
forma che scenderò nel vaneggiare;
pur forma pietrosa e rossa, diversa,
eletta (al tempo nemica), d’eccelse
colonne, custodisce il nostro amore.
Il tempio più sacro evoco, non bronzeo:
dove riposa la pietra,[28] alte lame
di colonne si innalzano e lo sguardo
regolano, discende l’ombra e il rosso
sabbioso memora labbra infuocate;
l’Eterno siede fra pietre di Petra.

[1]Questo componimento è un’ode alla successione di Fibonacci: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 paralleli al numero dei versi di ogni singola sezione.
[2]Dante, Paradiso, XXIV. v. 114: «Nella melode che lassù si canta.»
[3]F. Nietzsche, La nascita della tragedia: «La musica di Apollo era architettura dorica in suoni, ma in suoni solo accennati, quali sono propri della cetra».
[4]Forse si riprende il tema delle lenzuola. Ndc
[5]L’opera, appunto, si intitola La Morte del Tempo. Ndc
[6]Canto IV, 2: «ci slega come fra rosee caviglie/e labbra vermiglie che lerafforza». Ndc
[7]Qui Venere simboleggia la natura. Ndc
[8]La natura che poi canterò, oltre l’Alfeo, sarà ben diversa.
[9]È presente un forte contrasto: da un lato dove gli stivali sono “sorvolati” v’è una moltitudine di fiori, dall’altro portando la donna in altri luoghi, seminano disperazione. Ndc
[10]Petronius (Satyricon, 48): «Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: Σιβυλλα τι θελεις; respondebat illa: αποθανειν θελω”».
[11]Teognide, Silloge, trad.it. Giuseppe Fraccaroli: «Gli uomini sono stolti e storditi che piangono i morti/E non il fior di gioventù perduto».
[12]Da un colore intenso. Ndc
[13]L’eleganza del settecento emulo.
[14]Didascalia del Canto VI: «Nel santuario del sonno,/il canto e la pietra solenne patto istituirono».
[15]Il settimo canto è dedicato ad Orfeo. Ndc
[16]Lagrime invece di lacrime per armonizzarsi con grevi.
[17]Canto V, 3: « […]cerca/dal sole protezione; lo delusero». Ndc
[18]Lo si ricordi come il fior del vento (ἄνεμος).
[19]Essendo simbolo dei sentimenti perpetui presso gli antichi.
[20]Regalità anche nel suono: aquila, aquilegia.
[21]Nell’uso corrente è elemento architettonico di ornamento.
[22]La purezza di un riso: la margherita significa spontaneità e, dunque, giòlito di vita.
[23]Pur se da sempre vengono posti come in contrasto.
[24]Cfr. Columella, De Arboribus; suddetta Ninfa, Melissa, scoprì il modo di cogliere il miele.
[25]Medesimo clivo del Foscolo che coincide con l’invecchiamento; cfr. U. Foscolo, Le Grazie, ed. F.S. Orlandini, vv. 173-174. Ndc
[26]M. Proust (A la recherche de temps perdu, A l'ombre des jeunes filles en fleurs): «Comment s'appelle-t-il, cet ostrogoth-là?», Albertine che dimanda di Bloch al Narratore.
[27]Una delle quattro guide, viene citata per nome: nel secondo canto Pound si definisce fabbroSono il Fabbro»). Ndc
[28]πέτρα.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

Overture - secondo canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

Il secondo canto costituisce la protasi del poema. Vengono accennati i temi ed è presente l’invocazione ai numi, che accenneranno i modi di cantare, fonti medesime del canto.
Il poema è costantemente pervaso dalla numerologia, si ha prevalentemente il quattro e il sette, che ricorrono anche nei loro multipli.
Un primo sogno mi prese
e quattro Guide m’apparvero
e
allor lor dissero, e io cantài addietro.
« Nacqui a Tuscolo,[1] a Sabina passai,
di poi andai ne la città del Senato;
tribuno, pretore, consol, censore
divenni; condannai ‘l lusso sfrenato,[2]
di più l’union carnale animalesca,
ove il valor di persona si perde,[3]
ché amor non chiama bolgia di sudore. »

« Virtuosismo di forma ed eleganza
di sussistenza ti concedo; nacqui,[4]
prima che si posassero i Borbone,
qual gigli d’oro adagiati sul mare,[5]
a Napoli; i Borghese resi nobili
al mondo,[6] e s’arte ho diversa, ben puoi
veder che scalpello non odia verso. »[7]

« Bello fui e venerabile, “lo Stato”
di Me si disse “sono io”; tutti, conti,
marchesi, duchi e principi ammaliai
a mio talento; enorme feci Reggia
costituire e lontana l’acqua, invitta,[8]
concessi e moltitudini di fonti
e mille.[9] Del tuo canto sarò Duca. »

« Sono il Fabbro che “per l’ozio e l’amore”
cantò “cantiamo: altro non ha valore”,[10]
e “solo i sogni esistono”;[11] con tali
meridiane stendi il Poema; il pudore,
la maestrïa, la nobiltà e la musica
non obliar. »[12] Così alquanto ragionarono,
co' riserbo, e pur non velato orgoglio.[13]

Quest'allegretto ruscello dev’essere
l’Alfëo,[14] ché così lieto il mirarlo,
perenne custode ad un canto novo,
sìmile Amìcle, Augïa e Leda[15] speme
dolcezza e giovinezza custodiscono;
vagano melodiosi metri e il canto
si mesce col sogno tutto d’intorno.

Allor che i fiori immaginano i baci
del sole, che nel grembo il desiderio
li traduce a’ petali – erra e vaneggia
il Fanciullo pel sùfolo[16] nell’Orto[17] –,
la melodica ombra guidi col passo;
questo metro ardo emulare col canto:
primo, secondo… immaginato invano.

Puniceo cielo di settembre, all’ora
solare, Mensola,[18] ninfa dell’Arno,
fugge, come il desiderio al pensiero,
fra l’ombre mirtee, una ciocca sovviene
di pel di un fäuno che la desidera
più d’una làtice fonte se el fosse
assetato; lo schiva, cade e dorme.[19]

Le farfalle, come delfini al cielo,
volan;[20] le api ronzano e fan di sé
venusto a’ fiori concento; l’acanto,
l’amaranto,[21] l’aquilegia,[22] l’anèmone,[23]
traducono i lor risvegli nel metro:
leggiadrïa, ardore, soavità, esilio;
pur un canto più venerabil s’èleva:

« Sull'erba giaci, Illusione, a le mani
de l'amante curiose cedi, volano
su lusingati intrecci e sconosciuti;
e quando l'ardore dell'unghia gelida
sfiora 'l capezzolo, li occhi viventi
di puro lume splendon come 'l gelo
del diamante; ascende al ciel desiderio.[24]

Il tempo che resta sono gli incerti
pensieri che ci determineranno
a non essere;[25] il pensare il passato
inaridirà; non consolazione
alcuna al perpetuo considerare
lo sconfinato universo dei numeri;
dannoso e inutile contare il tutto.

Verrà de le rose il tempo: nessuno,
non temere, torna dall’Ade; li occhi
neppur domineranno questa notte,
non col turchese de l'ombretto flebile
che si invischia al pallore; non i voti
eterni dei baci recanti lacrime
dalle abitudini disidratate.

Nell’antica villa retta dai Rasna,[26]
depredata dalla gallica stirpe,
eternata da Leonardo, in un piccolo
parco il nostro sogno – ricordi? – vaga
fra ‘l desio e l’amor secondi; quest’eco,
di queste memorie, illudono d’essere,
custodi di ere oramai inaccessibili. »

Da la campana lotèa antica il bello
de’ capitelli corinzi deriva,[27]
chiudendo la propria corona all’acqua,
alzandosi col sospirar del sole;[28]
Atum[29] Creatore ne l’Oceano antico
si rigenera simile, fior schiuso
libero, al desio che a se stesso tende.

A la mente rapido fugge il sogno,
questi parole e falso non conosce
o certezze e il metro al pensiero regola;
simile la tua veste segna le ombre
che eccitano i petali de le rose,
su loro trascorre qual raggio ed esse,
più che ‘l sole, fisse e attente la seguono.

Come un fascio di luce si percuote
nell’acqua da goccia a goccia, si flette
simili a fiocchi di neve che al vento
nel grembo custodiscono il segreto
de la fine, così l’ïo s’illumina,
spento e acceso ad ogni singola immagine,
più ratto declina, s’altera e medita.

Stretta la bilancia i mercanti tengono
d’Osaka;[30] non sprofonda il loro sguardo
ne la gola del desiderio. Al vivere
inutile il conto; né de la ratio
lo sguardo abbisogna, ma sol di sé
come la gravità se stessa accolse,
prima che ‘l tempo ed i bagliori fossero.

[1]Marco Porcio Catone. Ndc
[2]Viene sintetizzata la vita di Catone. Ndc
[3]In un atto sensuale animalesco si perde l’individualità; è interessante notare che è Catone il Censore a proferire queste parole. Ndc
[4]Gian Lorenzo Bernini. Ndc
[5]Il simbolo dei Borbone consiste nel giglio, con uno sfondo marino. Ndc
[6]Villa Borghese sarà materia del mio canto.
[7]Tema ricorrente nel testo è la complementarità delle arti. Ndc
[8]Sintassi a emulazione di quella neoclassica. Ndc
[9]Tra le cose che più colpiscono di Versailles vi sono le fontane; qui l’autore richiama la difficoltà di portare tutta l’acqua che alimenta le tante fontane, in un luogo non vicino a fonti acquifere; nel testo è detto concede, nel significato peculiare di un re che concede ad esempio la grazia. Ndc
[10]E. PoundAn immorality, vv. 1-2: «Sing we for love and idleness/Naught else is worth the having».
[11]E. PoundSong, v. 5: «That dreams alone can truly be».
[12]Ognuna delle quattro figure è simbolo di uno di questi elementi. Ndc
[13]I discorsi delle quattro ombre sono caratterizzati da un’eleganza cerimoniale. Ndc
[14]Fiume del Peloponneso. Ndc
[15]U. FoscoloLe Grazie, ed. G. Chiarini, vv. 191-195: «Qui d'Augìa 'l pelaghetto, inviolato/Al pescator, da che di mirti ombrato./Era lavacro al bel corpo di Leda/E della sua figlia divina. E Amicle/Terra di fiori non bastava ai serti».
[16]Zufolo, strumento musicale a fiato. Ndc
[17]Orti Oricellari. Ndc
[18]BoccaccioNinfale fiesolano, I, v. 228: «“Mensola, andianne”; e quella, su levante».
[19]Il tramonto, l’erotismo velato e l’atto del prender sonno sono elementi constanti del testo. Ndc
[20]Le farfalle evocano l’eleganza dei delfini. Ndc
[21]Il colore indica arditezza, il nome costanza: αμαραντος.

[22]La soavità deriva dalla profonda tristezza: si confronti col Ritratto di principessa estense di Pisanello.
[23]Fiori del vento: ἄνεμος.
[24]Prima era il canto che si elevava, ora è il desiderio. Ndc
[25]R. Descartes, Méditations, AT VII: «Se io smettessi di pensare, smetterei nello stesso tempo di essere o di esistere».

[26]Gli Etruschi, secondo alcune fonti, potrebbero aver conquistato Milano, che fu saccheggiata al tempo della discesa gallica; città in cui operò Leonardo da Vinci. Ndc
[27]Dal capitello egiziano a campana deriva quello corinzio; v. Fletcher.
[28]Si fa qui riferimento al loto seshen, sacro per gli Egizi, simbolo di rinascita, capace di chiudersi nell’acqua a sera e di aprirsi all’alba, orientandosi verso il sole.
[29]Divinità dell’Antico Egitto. Ndc
[30]Y. TsunetomoHagakure kikigaki, I, 1: «Questa è la logica dei mercanti gonfi d'orgoglio che tiranneggiano Osaka ed è solo un calcolo fallace». È odioso che la logica del dare e dell'avere si insinui nello spirito.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. L'introduzione e le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

Intermezzo - dal quarto canto dell'"Art Nouveau"; di Giancarlo Petrella

M’assonna questo reale amaro[1] e tiene
l’imperio baldanzoso del pensare;
e tante vane certezze, Sirene
da un fosco canto, mi illusero: amare.

Per la maggior parte dell'universo,
membrana di energia su onde, v’è ‘l vuoto:
nella struttura dell’atomo, verso
il quale sol spazio s’aduna e moto.

Cosicché l’uomo si fraintende: tale
suono, materia, non ha nessun senso;
similemente vien dalla morale
l’inganno eletto con strano consenso.

Incorona la neve a New York ‘l coro
dei grattacieli indicando come ogni
uomo, di neve fiocco che ristoro
non trova, cada in assenza di sogni.

Cada indipendentemente dall’altro:
l’umanità si nutre sol d'asfalto.


[1]Canto I: «e informa le cose di per sé amare». Ndc


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

martedì 7 giugno 2016

Omaggio di sonetto - dal terzo canto dell'"Art Nouveau"; di Giancarlo Petrella

I’ son Boiardo, che treze d’or posi
nell’immago di quella che più amài
cotanto fui giocondo[1] che ascosi
versi non scrissi, beati semmài.

Spontanei dolci pensier festosi
mossi a innamorar pur anche i fati;
nei sogni fior raccolsi e li posi
nei versi e versi e sogni sfumài.

Limpidi penser, quali augeleti,
volan senza pesi, come ‘l foco[2]
in un’alma amorosa; per lei
posi viole nei canti, nel bosco,
nella corte dei fiori, nei lieti
cuori per cui amor è gioia, non duolo.

[1]L’impopolarità del Boiardo, soprattutto del Boiardo lirico, da parte di quei grandi “lettori” che conoscono a menadito Petrarca e Leopardi (come se solo a questi due autori si riducesse la vastissima letteratura italiana), è dettata dalla particolarità che lui fu un poeta felice: quando cantò tristezze, si sente una patina di gioia nella vita; per questo, quando soffrì veramente, quando vide la fine probabile della sua epoca, con la discesa di Carlo VIII di Francia, smise di scrivere.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

Queste parole, pacate e piane da chi immaginato sento appresso: nel mentre un sogno appare e un altro vassene, lasciando un non so che d’amoroso e il ricordo certo che diviene sensazione. Mi parlò con un linguaggio diverso, cortese e ferrarese insieme, in decasillabi.

Preghiera presso un cimitero - dal quarto canto dell'"Art Nouveau"; di Giancarlo Petrella

Non essere umana; non far che affanni
ti sussurrin cose, non far che cose
siano affanni, dimentica pur li anni:[1]
senza età, senza un nome. Portò, se[2]
ricordi, odio la parola, tiranni
i pensieri, gli amori spenti, chiose[3]
di un esser vuoto. Sii, fra queste lapidi,
luce, chiaror di luna, canto di api.[4]

[1]Rima inclusiva: anni, affanni.
[2]Rima composta: cose, portò se.
[3]Rima preziosa: cose, chiose.
[4]Rima mascherata: lapidi, api.

di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©