domenica 25 ottobre 2015

Canzone - dal terzo canto dell'"Art Nouveau"; di Giancarlo Petrella

La grazia che albergava
nelle favelle di Chirone quando
con Febo disputava,
con Febo innamorato, adona il luogo
ove sol vado. O danzante, te invoco;
rivedo, in questo boschetto dal viola
corteggiato, che alleggerisce il peso
delle meditazioni,
il dolce ruscel teso,
è l’Alfëo! Più con il Paradiso
l'Inferno si conviene,
che il Paradiso stesso
con tal ruscello lieve;
più soave dell'aquilegia, più candido
dell'acanto, non pone
il giardiniere attento
l'anemone in esilio verso ‘l vento,
come beltà lontano
da alcuna umana mano
questo ruscello. Irene,
Fata dello sbadiglio,
Ninfa della stanchezza,
volgi al tramonto il ciglio,
con braccia leggere ali,
ti avvolgi a modo d’un molce pensiero;
il corpetto tuo è nero
(pupille sigillate da tristezza);
i capelli simili ad arpa scendono,
declini la testa e un sogno sospira.
Mira come l’aurora
i capelli nervosa-[1]
mente rossi muove. In questo nebbioso
boschetto nel grembo aduni una molti-
tudine di pensieri;
lo sguardo pensieroso
cade come nel cielo
declina questo sbadiglio dal nome
tramonto; della morte
non dimentichi e ti avvolgi, di contro,
in una beltà pura.

Oggetti nella cuccia reca un gatto,[2]
li sente suoi, non un concetto astratto,
li discerne senza atto
o potenza dall’infinite cose,
si distingue da questi,
che son realmente oggetti,
fedelmente, e non altro:
non parole, non speranze, non stretti
timori al cuore. Discerne dai tetti
il gatto, il vivo dall’inanimato,
concentrando la sua attenzione quando
il non vivo si muove,
pur se lui lo mosse, non certo il fato.
Con questa sicurezza,
con tale naturalezza[3]
i tuoi piedi s'alternano: diverse
forme a guisa di fiori
che discernono il vento.
Non ti abbandoni Irene al futuro
o al passato; del reale
non ne fai un fiore, ma lo vedi: un sasso
dall’occhio cupo e spento.
Qual fiamma e cera, così è il tempo e l'anima:
dell'altra entrambe vivono,
e così per l'altra dissolverannosi.

È come se i capelli indicassero
la notte al sole e i denti nascondessero
il biancore dei monti;
li occhi, quali anaphalis intrecciati,
si intrecciano alle illusioni del glicine.
Deh, smorza! Smorza il sole:
è un carcere la vita
diurna; le mura inique
non sono che pensieri,
e il tempo le catene
che triste l'occhio rende.

Qual alato unicorno,
o ancor di più qual angelo,
una farfalla timida
sui tuoi capelli siede, la sera imita
quando le tombe s’aprono alla luce;
una violea rosa, pettine, il regno
dell'angelo attraversa
divenendone la nuova regina.
Soavemente alzi le spalle: natura
quando risorge non sostiene tanta
giovinezza ne le rose sepolte:
desiderio albeggia nella mia bocca
che si disseta di sogni. Elementi
e leggi inscindibili; così senza,
senza di te, ∨4 Irene, è
come se la natura non sorgesse.
Il primo violino[5] di questo canone
divino è uno sbadiglio;
la nebbia viola miro
e le membra si affievoliscon, spente,v a una rosea stanchezza.
Esausto di pura beltà, declinasi
il mio pensier a modo
di testolina cadente; e ricado
nel sogno inaspettato.[6]

[1]Tmesi. Ndc
[2]Incipit scherzoso. Ndc
[3]Da qui, il ritmo è meno calzante e il fraseggio più ampio fino alle sdrucciole che terminano la composizione.
[4]Anche se nel mezzo di due sillabe atone, per ampliare il fraseggio, con una pausa marcata, ho posto la dialefe. In Leopardi si trova «e qua e là saltando» (Il sabato del villaggio, 26); ma è D’Annunzio che fornisce gli esempi più particolari: «suoni dormendo e virtudi ignote» (Bocca d’Arno, 15).
[5]In un’orchestra, prima dell’esibizione, è il primo violinista a iniziare l’accordatura. Ndc
[6]È forse stato presente un momento di lucidità? Di razionalità intellettiva? Ndc


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

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