verdi più del flessuoso peplo e molle,
ch’al prato, color flebile per li occhi
suoi,[1] s’unisce e diffondono le forme
della rosëa[2] pelle di Lei chiara
qual le rose fra le dita gioconde;
pur un incanto i crini rossi alquanto.
Un mare indistinto di avvenimenti,
un vortice di pensieri, pur nulla
al soffuso èssere dei colori;[3]
sprofonda il mio pensere più in codesti[4]
che nel finger come il linguaggio fermi
il mondo, sfigurando l’oblio: tenue
il dire argine al divenire pone.[5]
Del mondo e delle cose un pensatore
non se ne cura, nell’idee fuggendo;
con men cura del reale se ne avvede
la sonatrice nutrice dei sogni:
convesso il suon non al significato[6]
ma a evane[7] onde legato: mira il flebile
prato in cui il verde trascolora in canto.
Un mare indistinto di avvenimenti,
un vortice di punti senza forme,
questo è il mondo; ma pel sogno le cose
grazia e bellezza e cortesïa formano;
custodisce nel palmo fiori e l'uomo
si interna nei ricordi sparsi, cerca
dal sole protezione; lo delusero.
[1]Al paragone compiuto il verde della natura è meno accesso di quello dei suoi occhi.
[2]Contrasto fra il verde e il rosa che serve a delineare le forme di Lei. Ndc
[3]Più che la lucentezza in termini di quantità, è la loro qualità ad essere soffusa, non reale. Ndc
[4]Dai colori spesso si viene persuasi, più che dall'elucubrazioni intellettuali.
[5]L’idea che il linguaggio freni il divenire e/o l’oblio è un leitmotiv dell’Opera. Ndc
[6]Il primato del suono.
[7]Apocope: evane per evanescente. Ndc
di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©
nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©
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