di lagrime ? Di tenebre lo sguardo
l’infrenato desio terminò il tempo,
dal solitario cantore commosso,
nato dall'oscurità come 'l canto;[1]
che per sette corsi col pianto l'arpa
di pie rugiade infuse per ovunque.
Le guance d’Orfeo sono forse paghe
di lacrime ? L'infrenabile Tempo
pur lo mira e nel canto si consola;
pel pianto oblïa il verde l’erba alquanto,
l’etra apprende il sangue e accompagna ‘l canto
e li occhi tristi sostiene imitando,
così i tempi sfiorando qual fior unico.
Narrasi che le foreste al perpetuo
metro del solitario vagar tacite
piangan; perpetuamente rintronando
tra mirti e querce e salici le lacrime
a consolar i mortali che pongono
in chi amano la fonte di speranza,
la ragione d’eterna giovinezza.[2]
Gli animali attenti, non più son prede,
cacciatori, ma in un coro di sguardi
odono, il tutto obliando;[3] il venerato
uffizio al silenzio la morte cede,[4]
ché non di mirar Orfeo ha l’ardore,
ben sente che il canto la strazierebbe,
brama del suolo non s’inebri il pianto.
Così Orfeo è immortale: tale 'l dolore
che ne ‘mpedisce la Morte, la bella
Euridice non condurrà alle danze,
bramando per sé un’adamantina urna;
gli infernei cani, alla stessa ragione
lontani,[5] s'avvian a render immondo
principio ogni forma, eppur di lui piangono.[6]
Libero è colui che la morte tende
a beffeggiare;[7] ed Orfeo mesce ‘l canto
con l'eterno, qual libertà mostrando
serba de la sua cetra un solo spasimo;
eppur a lui siedesi accanto il Nulla,
ma lo addestra, lo governa, lo impèra
perché vera ne conosce ‘l valore.
La Luna or fulge per il solitario
cantore e quando una luce soffusa
emana 'l canto di riudire brama;
ne’ sentieri silenti dei vaganti
augelli stellari vano il disperso
andar; e il grido loro al canto tacito,
zinzilulare[8] de le vaghe stelle.
« In guisa di delfin le trombe squillino
e de' cigni i dardi dei canti gridino
che, in corteo fauni, giungesti Euridice;
ridenti margherite, di lontano
olmarie appassite[9] co’ vagolanti
spine; e de’ papaveri[10] l’orizzonte
in morte ‘l funereo coro traduce.
Io questa ninfa bramo perpetuare;[11]
ceruleo giacinto pensoso e glicine
violureo sterminato canta e ride
odori; e quando mirerai a ghirlande
di astri la diversa prole dispersa,
memorati dei fiori; speme donagli
e giovinezza, il Sole fuggirà.
Sole solitario, nell’ombra nato;[12]
e quando l'ultimo dorato canto
concederai da li occhi consumati,
dolce compagna la morte per attimo;
sfiancato e lento, senza speme e vecchio,
non è al chiaror de la disperazione
forse più lume la dimenticanza ?[13]
Ma adriade creatura, il qual nome sciogliesi
fra le 'nnevate nevi de’ tuoi denti,
pria di saziarmi in eterno il perire
non ti prema il destino; trascorrendo
vecchiezza tra le pallide tue braccia,
fedel rimanendo a la veste candida,
e si sazierà 'l mio labbro e la guancia.
Su la tua beltate arenasi un cigno,
mira, è pallido men delle tue forme;
non una funerea valle ha tante urne
quante viole 'l suolo ove il sacro piè
tuo volava; ronzano a te dintorno
gli Dei, ben sentono che un sol tuo sguardo
sul lor infinito tedio sentenzia.
Quando il Sole lacrima, mai vedrà
le tenebre, e al punto più alto dell’etra
di giungere non si consola, miralo;
il venerato sciame degli Dëi
il mistero in te ben sente dell'essere;
nei tuoi lumi si siede il cielo, il tutto
da altro punto,[14] dovuto sdegno, mira.
E quando nel cimitero de li astri
sarai,[15] dove da sé l'etra si tempra,
madre dell'ombra, ancella a’ sogni, volgiti;
osserva l'errante negletta terra,
dal suo usato pianto solleva il Sole,
il solitario conforta e concedi
un dolce sogno a le placate stelle. »
In un col Sole soleva cantare,
or neppur il mal sonno lo distrae;[16]
col pianto la realtà tutta sfamando;
la morte più lontana della giòia;
pur se immortale, l'arte non ha appreso
del sentenziare addio; e nell'orror memora;
muore in eterno chi sfiora le stelle.
Più triste in ogni tramonto il solare
diviene; tempra greve cecità
il dolore de la sua solitudine;
in una notte, per malinconïa,
luci diffuse la Luna per tenera
compagnia; brama 'l solitario Sole
d'esser una di quelle fioche stelle.
Più addolorato in ogni istante 'l Tempo
diviene; ben conosce il suo destino,
muto sarà e tacito quando l'ultima
indivisibil parte[17] perirà;
così quando un uomo la volontà
ha consumato, lì giunge 'l declino;
per placarlo lo mireran le stelle.
Più disperato in ogni tempo Amore
diviene; chi dolci detti a l’oreglio
giovine[18] può soffiare? a sé rimane
un'ombra di resti d'una metëora;
temprano le lacrime la sua essenza,
l'arcana origine per cui ne li occhi
dei mortali di più ardono le stelle.
Nel tramonto il Sole tardo diffonde
le ultime lacrime a la triste gleba
pregna del pianto; giace ne li antichi
occhi la disperazione del mondo,
armonia all'eterea sanguigna veste;[19]
negli occulti sentieri s'appropinquano
a percuotere il tempo le pie stelle.
Sordo è 'l grido de la crudele morte
e il romore de la vittrice sorte
se da deserte terre arcane il carme
asperge sovra l'eterna memoria;
nasce dalla Notte 'l canto e da sé
splende, come ogni mia lagrima, invidia
de li Dei, luce maggior delle stelle.
Padre mio, Orfeo, lacrima nella storia,
disperazione che 'l tempo consola,
de le gravi angosce mortali gloria
eterna e dei canti vari otterräi,
fin quando ‘l Sole, desiando la Luna,
nel tentare di celare le lacrime
che lei diffonde, spegnerà le stelle.
[1]Anche l’atto della creazione poetica proviene dal nulla, dall’oscurità.
[3]Per colui che ama, l’amata coincide con la fonte di ogni sperare e di una giovinezza perpetua.
[4]Medesimo oblio che dilegua la sofferenza.
[5]Dante, Inf., V, v. 18: «Lasciando l'atto di cotanto uffizio»: la morte e il giudice infernale, chi per terrore del soffrire, chi per tracotanza d’orgoglio, terminano - momentaneamente - il loro operato.
[6]A causa del dolore la distruzione, come la morte, è ben lontana.
[7]L’oblio è ben lontano da Orfeo, eppur di lui piange, ma non termina il suo arcano ufficio.
[8]Dacché la libertà è l’oblio della morte.
[9]Zinziāre, zinzilāre, zinzitāre, zinzilulāre; detto del tordo, soprattutto della rodine.
[10]Piante medicinali, pur non v’è cura al dolore.
[11]L’oblio.
[12]S. Mallarmé, L’Après-midi d’un faune, v. 1: «Ces nymphes, je les veux perpétuer».
[13]Pur il Sole, essere solitario, è nato dall’ombra.
[14]Son funeste queste parole cantate da Orfeo, ma subito tenta di ritornare alla sua adriade creatura.
[15]Dall’alto dei suoi occhi.
[16]Invece Euridice è ben negl’inferi; cfr. il Carme precedente (Et in Arcadia ego).
[17]Ché non dorme mai, come Maldoror: materia successiva dei miei canti.
[17]Ché non dorme mai, come Maldoror: materia successiva dei miei canti.
[18]L'atomo.
[19]Canto VII: l’amore è «la ragione di eterna giovinezza». Ndc
[20]Canto VII: «l’etra apprende il sangue». Ndc
[20]Canto VII: «l’etra apprende il sangue». Ndc
di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©
Questo Carme consiste in una variazione sull’etimologia di Ορϕεύς: ορφνη (tenebra), ὀρφανός (che vive solo).
nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©